Cesare Pascarella
da Storia nostra: La fondazione di Roma
A queli tempi lì nun c’era gnente… La poteveno fa’ pure a Milano, O in qualunqu ‘antro sito de lì intorno. Magara più vicino o più lontano. Potevano; ma intanto la morale Fu che Roma, si te la fabbricorno, La fabbricorno qui. Ma è naturale, Qui ci aveveno tutto: la pianura, Li monti, la campagna, l’acqua, er vino… Tutto! Volevi annà in villeggiatura? Ecchete Arbano, Tivoli, Marino. Te piace er mare? Sorti de le mura, Co’ du’ zompi te trovi a Fiumicino. Te piace de sfoggia’ in architettura? Ecco la puzzolana e er travertino. Qui er fiume pe’ potecce fa’ li ponti, Qui l’acqua pe’ poté fa’ le fontane, Qui Ripetta, Trastevere, li Monti…
Da ragazzino, l’avevano messo a studiare in seminario, a Frascati: scappò via. Studiò poi all’Istituto di Belle arti, ma era molto più attratto dalla vita artistico-mondana della città che dagli studi accademici.
Nella nuova capitale frequentò il Caffè Greco, stringendo rapporti con gli artisti più simili a lui per irrequietezza e bisogno di nuovo, collaborando con la Cronaca bizantina e successivamente con il Fanfulla della domenica, che pubblicano le sue prime cose.
Già prima della grande guerra, attorno al 1911, Pascarella si sottrae del tutto alla mondanità letteraria romana, nonostante le sollecitazioni di amici e ammiratori. Lavora a Storia nostra, poema che non accetterà mai di pubblicare neppure per saggi e resterà incompiuto, e di cui usciranno postumi, nel 1941, 267 sonetti dei 350 previsti. Continua le sue lunghe passeggiate per la campagna romana. Studia l’inglese per poter leggere in originale Stevenson e Conrad. Si appassiona al volo. Non perde i contatti con gli amici, anche se gli scambi consistono ormai in foglietti sui quali il suo interlocutore scrive domande o osservazioni: il poeta risponde con ampiezza, se la domanda gli piace – o ripiega il foglietto stretto stretto e passa ad altro.
Nel 1930 è nominato accademico d’Italia, e nonostante la sordità e la misantropia crescente, partecipa con costanza alle riunioni alla Farnesina.
Muore a Roma l’8 maggio 1940, in solitudine ed è sepolto presso il Cimitero del Verano