“La bambina con il fucile” non è il primo romanzo di Susanna De Ciechi che ho la fortuna di leggere, ma questa recensione non è seguita subito alla fine del libro, perché i contenuti e la trama sono a mio parere tanto sconvolgenti e amari, da necessitare una sorta di metabolizzazione per smaltire lo sgomento e assaporare la realtà presentata.

Più volte ho dovuto sospendere la lettura di pagine che mi hanno catturata e coinvolta a tal punto da togliermi il fiato. Spesso mi ritrovo ancora a ricordare determinati passaggi e visualizzare immagini create da una fantasia sapientemente sollecitata dallo stile dell’autrice.
“Alcuni riflettori illuminavano il campo. Non tutto, solo una parte ben precisa/. La prima cosa che Pratheepa vide fu Basil. Era sdraiato a terra, nudo, il volto ricoperto dai lividi, il petto immobile segnato da lunghi tagli e sporco di sangue./ Gli occhi erano chiusi. Di fianco a lui c’era un altro ragazzino cui mancavano le mani, una recisa sopra il polso. L’altro arto era tranciato malamente oltre il gomito. Il sangue nero e denso impregnava la terra.”
L’esistenza dei bambini-soldato non è certo un mistero, ma forse per la maggior parte delle persone, me compresa, è una di quelle verità distanti, che non ci toccano direttamente, che ci lasciano basiti, ma non abbastanza da farci desiderare di attivarci per cercare una soluzione a uno scempio fatto di soprusi e malvagità.
Non è questo il caso di Susanna De Ciechi, persona evidentemente attenta e partecipe ai molti drammi che colpiscono il genere umano, che riesce a raccontare tragedie inverosimili divenendo testimone e voce dei più deboli.
“La bambina con il fucile” prende le mosse da una storia purtroppo vera, accaduta nello Sri Lanka durante la guerra civile, nell’arco di tempo di poco meno di un ventennio.
La protagonista è una quindicenne rapita da scuola insieme ad altri compagni e compagne, per essere addestrata come soldato tamil. Gli orrori a cui è costretta ad assistere e a partecipare sono tali da annientare la sua volontà e la sua personalità, facendole indossare una maschera di cera dietro cui esiste solo l’istinto della sopravvivenza. Pratheepa, questo il nome della giovane vittima, ci introduce in un mondo tanto vicino quanto alieno, dominato dalla violenza, dalla forza bruta, dal dominio del più forte, dal sangue.
“Le Tigri risposero mettendo in campo le bombe umane, i kamikaze, una loro invenzione. Lei pensava che fossero pazzi, ma non l’avrebbe mai detto; per molti, quelli erano eroi. Gli attacchi suicidi furono devastanti, la loro furia era inarrestabile, gli obbiettivi non risparmiavano neppure le enclave religiose. Le Tigri, i soldati tamil che per i nemici erano stati fino ad allora guerriglieri, diventarono a tutti gli effetti terroristi. Pratheepa lo sentiva dire spesso, ma non le importava. Non faceva proprio alcuna differenza. Lei era comunque un soldato e basta.”
L’impotenza è una delle forti sensazioni che investono il lettore che si scopre sbigottito e intimorito davanti a una condizione anacronistica.
L’indignazione cresce di pagina in pagina, segnando solchi profondi nella mente e nel cuore di chi legge. La De Ciechi non ha scritto solamente un romanzo, ha prodotto una denuncia e urlato un’esortazione a scendere con i piedi per terra, a conoscere davvero tutto il mondo in cui viviamo, a tendere realmente una mano, senza nascondersi o fingere egoisticamente di non sapere.
I bambini martoriati, seviziati e brutalmente uccisi de “La bambina con il fucile” non sono purtroppo frutto di mera fantasia, e rappresentano tutte quelle innocenti creature che ancora oggi vengono sradicate e annientate in nome di una guerra che non conoscono, e che dovrebbero interpretare solamente come gioco scherzoso rincorrendosi felici.
Lo stile della scrittrice è scorrevole e diretto, adatto alle spietate descrizioni di cui è piena la sua opera.
I personaggi sono ben descritti, soprattutto dal punto di vista psicologico, lato essenziale da trattare per portare avanti la cronaca dei fatti e l’evoluzione del carattere e della personalità degli attori principali.
Il tema della violenza sui più deboli, sulle donne e, in questo caso, sui minori, è quotidianamente affrontato da organizzazioni umanitarie i cui membri investono coraggiosamente le proprie risorse e energie per combattere un cancro che ancora appare presente e imbattibile.
“Wimala rivolse un grande sorriso a Pratheepa e le spiegò che era lì per tradurre la conversazione, di stare tranquilla che loro erano amici e il dottor Max era italiano, come Marco. Avevano fatto un lungo viaggio per venire ad aiutare le vittime della guerra. Stavano facendo il giro di questo carcere e anche di altri. Volevano fare qualcosa per lei. Pratheepa restò in silenzio, non si fidava. Era pronta ad attaccare, non importava cosa sarebbe successo. Nessuno l’avrebbe toccata.”
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Vi invito sentitamente a leggere “La bambina con il fucile” di Susanna De Ciechi, una storia reale romanzata, più che un romanzo, che vi toccherà profondamente e vi lascerà con il senso di amarezza di chi deve, alla fine, ammettere ciò che già conosceva e che non può più ignorare.
Paola Bianchi
LA BAMBINA CON IL FUCILE
SUSANNA DE CIECHI
EDITORE AUXILIA BOOKS
15 NOVEMBRE 2016
PAG. 326